| lily evans. |
| | Non andava affatto bene così. Non potevo rimanere il resto del pomeriggio a crogiolarmi nel divanetto della Sala Comune di Grifondoro, né tantomeno a contare i bottoncini di velluto disposti in perfetto ordine parallelo sullo schienale della poltroncina opposta alla mia. Avevo cercato un pretesto per sfuggire a quel biglietto. Come ad esempio rintanarmi in biblioteca –dove era impossibile leggere, studiare, o fare alcunché, a causa dei ragazzi del settimo anno che sembravano impegnati a fare delle ricerche sugli Ippogrifi e simili- oppure trascorrere del tempo con i ragazzini più piccoli, così come prevedeva la spilla lucidata in modo impeccabile che portavo appuntata al petto. Essere Prefetto era uno degli incarichi più onorevoli che avessi mai ricoperto, se non l’unico. Avanti, sapevo che ero spesso vista come la ‘secchiona’ solo perché me la cavavo un po’ troppo bene in determinate materie e che il Professor Horace Lumacorno amava definirmi dinnanzi agli altri come la sua ‘pupilla’. Ero perfettamente consapevole di tutto quello, ma non m’interessava ricevere onori o congratulazioni. Quella piccola spilla intagliata nell’argento mi bastava e avanzava persino. Abbassai di conseguenza lo sguardo sul maglioncino della divisa e passai gli occhi prima sul cravattino rosso-oro e poi sulle mani posate sulle ginocchia. Le mie dita erano incrociate in una posizione strana, poiché da qualche minuto avevo preso a torturarle, sfregandole forte tra di loro. Inoltre, avevano assunto una colorazione rossa e persino le lentiggini sul dorso della mano sembravano possedere un colore più accentuato del solito. Andare, o non andare? Con fare quasi rassegnato, ma non del tutto, mi inclinai leggermente di lato per poter estrarre dalla tasca della gonna il foglietto tutto spiegazzato. L’avevo piegato e ripiegato fin troppe volte, e adesso le parole sembravano un po’ sbiadite. Mi concentrai sul tratto di penna che andava a delineare parole dalla forma un po’ spigolosa. Avrei riconosciuto la scrittura di Severus tra mille, tanto bene ce l’avevo stampata in mente. Sospirai, mentre gli occhi scorrevano sui periodi tracciati quella stessa mattina, a lezione di Pozione.
Dobbiamo parlare, urgentemente. Ti aspetto oggi pomeriggio dietro la capanna del guardiacaccia, io ci sarò. Sperando che tu possa mettere da parte la delusione che provi in questo momento nei miei confronti. Sev .
Il biglietto mi era caduto sulla chioma rosso rame, e l’avevo letto con il cuore in gola. Si era persino sporcato un po’ di sangue, perché mi ero tagliata la punta dell’indice sinistro mentre facevo vedere allo stalker/Potter come si tagliassero decentemente dei semi di mandragola. Che stupida che ero stata. Ero riuscita ad evitare tutti i pensieri che mi affollavano la mente per tutto il pranzo e il pomeriggio, e invece ora riaffioravano quasi prepotentemente. Ma occhei, lasciatemi spiegare tutto per bene. Rewind… Come sempre, avevo messo in conto di ascoltare la lezione di Lumacorno seduta accanto a Severus. Insomma, era una cosa naturalissima quella… Da quando l’avevo conosciuto, non ero più riuscita a distaccarmi da lui. Era il miglior amico di sempre, uno di quelli con cui non litighi praticamente mai e su cui sai di poter contare. Io gli volevo un bene dell’anima, perché era stato lui stesso a farmi avvicinare al mondo magico e a tutte le sue meravigliose sfaccettature. Addirittura, lui sapeva cosa avessi di speciale ancor prima che ricevessi la famosa lettera per Hogwarts, quella con il timbro scarlatto di ceralacca. Severus andava un po’ a rimarcare quell’evento importante della mia vita, e io non l’avrei mai lasciato andare appunto per questo motivo. Eppure, per qualche strana ragione, non aveva rispettato la nostra consuetudine. Non solo aveva preso posto accanto ad un’altra ragazza, ma non mi aveva neppure rivolto un saluto o uno sguardo. Aveva completamente ignorato le mie parole, ed ero rimasta traumatizzata da quel gesto. Non capivo, semplicemente perché non si era mai comportato in quel modo. Era freddo, distaccato, il vero Serpeverde sadico che non pensavo potesse esistere sul serio. Esatto, sadico, perché mi aveva fatto male sul serio. Avevo portato un mattone nel petto per tuttala durata della lezione e anche in quel momento non accennava a volersene andare via. Per di più, avevo fatto una cosa… Ero stata meschina e egoista, a prendere posto vicino James Potter. Sapevo quanto lo odiasse, lo sapevo perfettamente. Volevo fargli provare più o meno la stessa cosa. Perché alla fine, il problema non era solamente la sua scarsa quantità di educazione nei miei confronti, ma anche quella ragazza… Ero così possessiva nei suoi confronti, che non mi sembrava reale vederlo accanto ad una persona di sesso femminile. Era una cosa che mi faceva letteralmente senso. Ad ogni modo, l’avevo ripagato con la stessa moneta e mi ero ritrovata in un casino assurdo. Addirittura, Potter era riuscito a carpire il mio secondo fine e una vocina nella mia testa continuava a ripetermi che doveva essersi offeso e non poco. Io non avevo intenzione di creare tutto quel subbuglio, davvero… Non ero subdola, non l’avevo fatto con cattiveria. Era stato più un comportamento assunto senza pensarci. Com’è che si diceva? Dovevo aver letto su qualche libro una parola che si addiceva in quel caso: amartia, cioè colui che è colpevole senza rendersene conto. Mi mordicchiai il labbro inferiore rosso e poi sbattei le palpebre. Dovevo decidere, e in fretta, anche perché i raggi solari aranciati che filtravano attraverso il vetro dei grandi finestroni preannunciavano il tramonto. Scossi forte la testa, e infine scattai in piedi, precipitandomi quasi di corsa nel Dormitorio Femminile. Dovevo prima togliermi di dosso quegli indumenti, e poi sarei andata. Ero sicura che Severus fosse già lì ad aspettarmi. Sfilai su dalla testa il maglioncino grigio di lana che pizzicava da morire. Strofinai le mani sulle braccia spruzzate di lentiggini rosate, e infine indossai la prima cosa che trovai dinnanzi agli occhi: una gonna a balze a vita alta e una camicetta lilla al disopra di essa. Lasciai scivolare i piedi alquanto piccoli, numero trentasette, nelle ballerine scure, e poi afferrai il mantello con lo stemma dei Grifondoro. Me lo gettai frettolosamente alle spalle, mentre scendevo velocemente gli scalini che riportavano in Sala Comune. Da lì, oltrepassai il quadro della Signora Grassa, salutandola con un sorrisino poco convinto. Ero in ritardo, accipicchia. Per tutti i maghi, non mi sarei mai perdonata un eventuale ritardo… Se non avessi trovato Severus… Lui aveva bisogno di spiegare, ma anche io volevo chiedergli scusa. Non ero capace di essere arrabbiata con le persone troppo a lungo –ad eccezione di Potter, dato che con lui era una lotta perenne ormai-. Attraversando le varie scale alle quali piaceva cambiare, mi ero ritrovata di fronte il portone d’ingresso. Oltrepassai anche quello, e immediatamente sentii l’aria fresca colpirmi il viso come una secchiata di acqua inaspettata. Respirai a pieni polmoni, riempendoli. Di buon passo m’incamminai verso la capanna del guardiacaccia, pestando oltre all’erbetta anche le foglie secche giallognole e rossastre che si erano staccate dagli alberi. Questi ultimi ormai erano spogli e denudati, e assomigliavano molto a delle mani decrepite di uno scheletro. Mi strinsi nelle spalle, e quando giunsi a destinazione mi resi conto di non essere assolutamente preparata a quello. Ma ormai era troppo tardi, no? Ero sicura che in un modo o nell’altro avremmo trovato il problema, risolto quella brutta situazione. Nulla e nessuno potevano permetterci di porre fine alla nostra amicizia. Avrei preferito trovarmi solamente in un brutto sogno, ma indovinate? Quella era la realtà, e in quanto tale andava affrontata. Annuii a me stessa per convincermi, e poi infilai le mani fredde nei tasconi del mantello invernale. Feci il giro della capanna, e mi osservai attorno, fin quando non intravidi una figura nascosta dietro le grandi zucche arancioni disposte irregolarmente lì vicino. Severus. Lo riconoscevo dai capelli scuri. Non erano unti, semplicemente luminosi. Li aveva folti, e mi piaceva passarci le dita dentro, per attorcigliarli e accarezzarli anche solo per scherzo. A passo incerto mi avvicinai a lui, e quando gli fui vicino, lo osservai dall’alto. Dovevo avere un’espressione triste, sicuramente. Avrei voluto sorridere, ma non ci riuscivo in quel momento. Prima, avevo bisogno di ascoltare quello che aveva da dirmi.
Severus… Ciao…
Non lo chiamavo mai con il nome per intero, ma sapevamo entrambi che quella era una questione seria. Sussurrai quelle parole prima fissandolo negli occhi con i miei azzurro cielo. In seguito li abbassai quasi mortificata. Senza dire una parola presi posto accanto a lui, sedendomi sulla terra un po’ umida. Tirai giù la gonna che si era sollevata un poco e lasciava scoperte le gambe dalle ginocchia in giù. Sentivo il cuore che mi batteva forte per l’agitazione. Lo sentivo persino rimbombare nella testa.
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