Dungbomb! Are you ready to challenge a marauder?

The weight of things that remains unspoken.

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lily evans.
view post Posted on 9/11/2012, 19:44




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Non andava affatto bene così. Non potevo rimanere il resto del pomeriggio a crogiolarmi nel divanetto della Sala Comune di Grifondoro, né tantomeno a contare i bottoncini di velluto disposti in perfetto ordine parallelo sullo schienale della poltroncina opposta alla mia. Avevo cercato un pretesto per sfuggire a quel biglietto. Come ad esempio rintanarmi in biblioteca –dove era impossibile leggere, studiare, o fare alcunché, a causa dei ragazzi del settimo anno che sembravano impegnati a fare delle ricerche sugli Ippogrifi e simili- oppure trascorrere del tempo con i ragazzini più piccoli, così come prevedeva la spilla lucidata in modo impeccabile che portavo appuntata al petto. Essere Prefetto era uno degli incarichi più onorevoli che avessi mai ricoperto, se non l’unico. Avanti, sapevo che ero spesso vista come la ‘secchiona’ solo perché me la cavavo un po’ troppo bene in determinate materie e che il Professor Horace Lumacorno amava definirmi dinnanzi agli altri come la sua ‘pupilla’. Ero perfettamente consapevole di tutto quello, ma non m’interessava ricevere onori o congratulazioni. Quella piccola spilla intagliata nell’argento mi bastava e avanzava persino. Abbassai di conseguenza lo sguardo sul maglioncino della divisa e passai gli occhi prima sul cravattino rosso-oro e poi sulle mani posate sulle ginocchia. Le mie dita erano incrociate in una posizione strana, poiché da qualche minuto avevo preso a torturarle, sfregandole forte tra di loro. Inoltre, avevano assunto una colorazione rossa e persino le lentiggini sul dorso della mano sembravano possedere un colore più accentuato del solito. Andare, o non andare? Con fare quasi rassegnato, ma non del tutto, mi inclinai leggermente di lato per poter estrarre dalla tasca della gonna il foglietto tutto spiegazzato. L’avevo piegato e ripiegato fin troppe volte, e adesso le parole sembravano un po’ sbiadite. Mi concentrai sul tratto di penna che andava a delineare parole dalla forma un po’ spigolosa. Avrei riconosciuto la scrittura di Severus tra mille, tanto bene ce l’avevo stampata in mente. Sospirai, mentre gli occhi scorrevano sui periodi tracciati quella stessa mattina, a lezione di Pozione.

Dobbiamo parlare, urgentemente. Ti aspetto oggi pomeriggio dietro la capanna del guardiacaccia, io ci sarò. Sperando che tu possa mettere da parte la delusione che provi in questo momento nei miei confronti. Sev .


Il biglietto mi era caduto sulla chioma rosso rame, e l’avevo letto con il cuore in gola. Si era persino sporcato un po’ di sangue, perché mi ero tagliata la punta dell’indice sinistro mentre facevo vedere allo stalker/Potter come si tagliassero decentemente dei semi di mandragola. Che stupida che ero stata. Ero riuscita ad evitare tutti i pensieri che mi affollavano la mente per tutto il pranzo e il pomeriggio, e invece ora riaffioravano quasi prepotentemente. Ma occhei, lasciatemi spiegare tutto per bene. Rewind…
Come sempre, avevo messo in conto di ascoltare la lezione di Lumacorno seduta accanto a Severus. Insomma, era una cosa naturalissima quella… Da quando l’avevo conosciuto, non ero più riuscita a distaccarmi da lui. Era il miglior amico di sempre, uno di quelli con cui non litighi praticamente mai e su cui sai di poter contare. Io gli volevo un bene dell’anima, perché era stato lui stesso a farmi avvicinare al mondo magico e a tutte le sue meravigliose sfaccettature. Addirittura, lui sapeva cosa avessi di speciale ancor prima che ricevessi la famosa lettera per Hogwarts, quella con il timbro scarlatto di ceralacca. Severus andava un po’ a rimarcare quell’evento importante della mia vita, e io non l’avrei mai lasciato andare appunto per questo motivo. Eppure, per qualche strana ragione, non aveva rispettato la nostra consuetudine. Non solo aveva preso posto accanto ad un’altra ragazza, ma non mi aveva neppure rivolto un saluto o uno sguardo. Aveva completamente ignorato le mie parole, ed ero rimasta traumatizzata da quel gesto. Non capivo, semplicemente perché non si era mai comportato in quel modo. Era freddo, distaccato, il vero Serpeverde sadico che non pensavo potesse esistere sul serio. Esatto, sadico, perché mi aveva fatto male sul serio. Avevo portato un mattone nel petto per tuttala durata della lezione e anche in quel momento non accennava a volersene andare via. Per di più, avevo fatto una cosa… Ero stata meschina e egoista, a prendere posto vicino James Potter. Sapevo quanto lo odiasse, lo sapevo perfettamente. Volevo fargli provare più o meno la stessa cosa. Perché alla fine, il problema non era solamente la sua scarsa quantità di educazione nei miei confronti, ma anche quella ragazza… Ero così possessiva nei suoi confronti, che non mi sembrava reale vederlo accanto ad una persona di sesso femminile. Era una cosa che mi faceva letteralmente senso. Ad ogni modo, l’avevo ripagato con la stessa moneta e mi ero ritrovata in un casino assurdo. Addirittura, Potter era riuscito a carpire il mio secondo fine e una vocina nella mia testa continuava a ripetermi che doveva essersi offeso e non poco. Io non avevo intenzione di creare tutto quel subbuglio, davvero… Non ero subdola, non l’avevo fatto con cattiveria. Era stato più un comportamento assunto senza pensarci. Com’è che si diceva? Dovevo aver letto su qualche libro una parola che si addiceva in quel caso: amartia, cioè colui che è colpevole senza rendersene conto.
Mi mordicchiai il labbro inferiore rosso e poi sbattei le palpebre. Dovevo decidere, e in fretta, anche perché i raggi solari aranciati che filtravano attraverso il vetro dei grandi finestroni preannunciavano il tramonto. Scossi forte la testa, e infine scattai in piedi, precipitandomi quasi di corsa nel Dormitorio Femminile. Dovevo prima togliermi di dosso quegli indumenti, e poi sarei andata. Ero sicura che Severus fosse già lì ad aspettarmi. Sfilai su dalla testa il maglioncino grigio di lana che pizzicava da morire. Strofinai le mani sulle braccia spruzzate di lentiggini rosate, e infine indossai la prima cosa che trovai dinnanzi agli occhi: una gonna a balze a vita alta e una camicetta lilla al disopra di essa. Lasciai scivolare i piedi alquanto piccoli, numero trentasette, nelle ballerine scure, e poi afferrai il mantello con lo stemma dei Grifondoro. Me lo gettai frettolosamente alle spalle, mentre scendevo velocemente gli scalini che riportavano in Sala Comune. Da lì, oltrepassai il quadro della Signora Grassa, salutandola con un sorrisino poco convinto. Ero in ritardo, accipicchia. Per tutti i maghi, non mi sarei mai perdonata un eventuale ritardo… Se non avessi trovato Severus… Lui aveva bisogno di spiegare, ma anche io volevo chiedergli scusa. Non ero capace di essere arrabbiata con le persone troppo a lungo –ad eccezione di Potter, dato che con lui era una lotta perenne ormai-. Attraversando le varie scale alle quali piaceva cambiare, mi ero ritrovata di fronte il portone d’ingresso. Oltrepassai anche quello, e immediatamente sentii l’aria fresca colpirmi il viso come una secchiata di acqua inaspettata. Respirai a pieni polmoni, riempendoli. Di buon passo m’incamminai verso la capanna del guardiacaccia, pestando oltre all’erbetta anche le foglie secche giallognole e rossastre che si erano staccate dagli alberi. Questi ultimi ormai erano spogli e denudati, e assomigliavano molto a delle mani decrepite di uno scheletro. Mi strinsi nelle spalle, e quando giunsi a destinazione mi resi conto di non essere assolutamente preparata a quello. Ma ormai era troppo tardi, no? Ero sicura che in un modo o nell’altro avremmo trovato il problema, risolto quella brutta situazione. Nulla e nessuno potevano permetterci di porre fine alla nostra amicizia. Avrei preferito trovarmi solamente in un brutto sogno, ma indovinate? Quella era la realtà, e in quanto tale andava affrontata. Annuii a me stessa per convincermi, e poi infilai le mani fredde nei tasconi del mantello invernale. Feci il giro della capanna, e mi osservai attorno, fin quando non intravidi una figura nascosta dietro le grandi zucche arancioni disposte irregolarmente lì vicino. Severus. Lo riconoscevo dai capelli scuri. Non erano unti, semplicemente luminosi. Li aveva folti, e mi piaceva passarci le dita dentro, per attorcigliarli e accarezzarli anche solo per scherzo. A passo incerto mi avvicinai a lui, e quando gli fui vicino, lo osservai dall’alto. Dovevo avere un’espressione triste, sicuramente. Avrei voluto sorridere, ma non ci riuscivo in quel momento. Prima, avevo bisogno di ascoltare quello che aveva da dirmi.

Severus… Ciao…


Non lo chiamavo mai con il nome per intero, ma sapevamo entrambi che quella era una questione seria. Sussurrai quelle parole prima fissandolo negli occhi con i miei azzurro cielo. In seguito li abbassai quasi mortificata. Senza dire una parola presi posto accanto a lui, sedendomi sulla terra un po’ umida. Tirai giù la gonna che si era sollevata un poco e lasciava scoperte le gambe dalle ginocchia in giù. Sentivo il cuore che mi batteva forte per l’agitazione. Lo sentivo persino rimbombare nella testa.

 
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just severus
view post Posted on 29/11/2012, 18:48




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Tutte le persone che decantano i benefici del saper attendere sono pregati di andare beatamente a farsi fottere. L'attesa era diventata la mia acerrima nemica in quei giorni, mi corrodeva quella maschera d'apatia che da cinque anni a questa parte era stata la mia arma più efficace. Quel giorno persino i ragazzini del secondo o terzo anno che incrociavo tra i corridoi non avrebbero potuto riconoscere il pacato e anonimo Severus che abitava quel posto. Ero visibilmente nervoso, si può dire fossi un vero e proprio fascio di nervi ambulante; a mala pena stavo attento a dove mettessi i piedi. La verità è che non avevo assolutamente chiuso occhio, avevo trascorso le prime ore concentrandomi su un compito di Crittologia, fortunatamente mi aveva procurato parecchie gatte da pelare ed ero riuscito a terminarle solo intorno l'una di notte. Il mio compagno di stanza aveva smesso di darmi, anche per sbaglio, la benchè minima attenzione e, i miei movimenti silenzioni, non gli avevano disturbato il sonno. Mi ritrovai così, con gli occhi completamente spalancati e la mente in subbuglio a godermi le ore più intime e solitarie dell'intera giornata. Gli spagnoli la chiamano " madrugada " , quel breve arco di tempo che raccoglie le ore più prossime all'alba, quelle durante le quali se si ha la sfortuna - come la mia - di non riuscire a chiudere occhio, si rivelano le meno opportune alla riflessione. Già, sarà l'atmosfera cupa e solitaria o la sensazione d'essere effettivamente soli ed indifesi che ci conferisce la possibilità d'osare. Benchè solo con i pensieri. Si riescono a partorire decisioni, a maturare scelte o soluzioni che, una volta tornati ad essere circondati da altre persone, improvvisamente appaiono come le cose più stupide di questo mondo e quasi ci si spaventa d'essere stati in grado di pensarle. Fu appunto durante la madrugada che mi convinsi che mandare un bigliettino a Lils, richiamare la sua attenzione ancora una volta, mettere da parte il lato calcolatore a razionale di me e, finalmente affrontare la realtà dei fatti, fosse effettivamente la cosa più giusta da fare. Benchè, dopo il duello con Potter, avessi definitivamente accolto dentro di me l'idea di allontanarmi da Lily, puntualmente spuntavano nuovi motivi per torturarmi ancora un pò e per il momento non avevo la forza di allontanarli. La verità è che io avevo bisogno di lei, era il mio ossigeno e starle alla larga mi procurava proprio quel senso di affazione mista a panico tipico di quella mancanza. Ancora una volta, non importava risultare una persona senza spina dorsale, non mi importava trascurare quella parte di me stesso ricolma di orgoglio e rancore, non mi importava neanche sapere che si stesse svegliando e dar attenzione a quella combutta interiore che mi logorava giorno dopo giorno. La preoccupazione per Lily, il suo solo nome che rimbomava nella mia testa riusciva a riempirmi ed illuminare il Severus che solo accanto a lei riusciva a sentirsi vivo e trovava una motivazione più che valida a quella sensazione. Non dovevo far altro che renderla partecipe, aprirle finalmente gli occhi e farle accorgere di me non più come il suo migliore amico ma come la persona che la considerava l'essere più importante sulla faccia della terra, il ragazzo che era pronto ad anteporla a qualsiasi cosa.. persino a se stesso. Il mio era amore, puro e semplice e sebbene avrei potuto continuare a tenere la bocca chiusa, godere della sua luce anche solo da lontano, ora sentivo l’imperioso bisogno di aprirle il cuore. Avevo paura, una paura che mi stava trasformando in uno stupido vigliacco facendomi nascondere quelle emozioni ma ormai, per il mio bene dovevo sputare quel rospo sperando che non le risultasse eccessivamente amaro.
Quella mattina a lezione, però, mi ero comportato come il Principe desiderava. Avevo bisogno di sperimentare sulla mia pelle cosa significava ignorarla, mi stavo praticamente preparando al peggio e vederla accanto a Potter mi fece imbestialire come poche volte mi era capitato. Probabilmente, lontano dalle ore di solitudine, fu quell’episodio a spingermi definitivamente a mandarle quel messaggio. Una parte voleva cogliere quell’occasione per urlarle contro, farle capire quanto riuscisse a ferirmi con pochi gesti ma riuscii a chiuderlo nel luogo più oscuro di me stesso, Severus non era pronto a tanto anzi era convinto che non lo sarebbe mai stato. Le avevo chiesto di vederci da soli, dopo le lezioni. Non avevo più scuse, era il momento e basta. Trascorsi le restanti ore vagando come un automa di lezione in lezione, buttando furenti occhiate all’orologio ma il tempo pareva trascorrere con una lentezza inaudita. Una volta terminata l’ultima lezione del pomeriggio, mi dileguai nei sotterranei spogliandomi delle vesti da studente e mettendo su qualcosa che ricordasse il Severus mezzosangue, il ragazzino scuro che solo lei conosceva. Indossai un paio di jeans sbiaditi ed un maglione color sabbia che mi avrebbe difeso non tanto dal freddo della Scozia, quanto da quello interiore che avrei sentito nel caso in cui Lils mi avesse voltato le spalle, disgustata. Scacciai quei pensieri, con un secco movimento della testa e poi imboccai la strada che conduceva verso l’esterno del castello. Non guardai in faccia a nessuno, non che solitamente fossi il tipo che salutava le persone che incrociava per i corridoi, ma il nervosismo mi faceva tenere un costante sguardo basso.
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Una volta giunto sul retro della capanna del guardiacaccia, il luogo dove le avevo chiesto di incontrarci, cominciai a mangiarmi le unghie delle dita in una trepidante attesa. Guardavo l’orologio come un ossesso e per parecchi attimi pensai che Lily avesse deciso non vedermi senza neanche avermi dato una chance per spiegarmi. Puntai gli occhi su una grossa zucca di un arancione accecante e cominciai a respirare con maggiore difficoltà fin al momento in cui udii il suono del mio nome pronunciato dalla sua voce. Nella mia testa risultava come un canto, era la mia sirena che mi attirava a se. Mi voltai e la guardai per qualche secondo in totale silenzio trovando finalmente la forza di rilassare le labbra in un sorriso appena accennato. C'era poco da fare, lei riusciva a strapparmene anche nelle peggiori delle situazioni e non sarei mai stato in grado di negargliene uno. Lei era venuta, solo quello aveva importanza.

Lils.. non sai quanto sia felice che tu sia venuta..

Ammisi, finalmente ad alta voce. Mi staccai dalla zucca, probabilmente il fogliame che ricopriva quella zona brulla del giardino aveva preso la forma delle mie orme. Fino a pochi minuti prima, convinto dell’idea che lei non sarebbe venuta, avevo perso la voglia di muovermi. Ma ora, la sua sola vista mi aveva ridato vita. Mi morsi la parte interna delle labbra e mi avvicinai a lei, attirato dalla sua aura. Avevo bisogno di sentire il suo profumo, di starle accanto soprattutto quando notai il suo sguardo che trapelava frustrazione. Sapevo che era colpa mia, del mio stupidissimo comportamento di quella mattina. Strinsi la mano destra in un pugno, provando a scaricare un minimo di tenzione e poi le fui di fronte. Allungai le dita della mano sul suo mento, facendole una leggera pressione affinchè tenesse il volto alto per potermi specchiare nei suoi occhi verdi.

Te lo leggo in faccia, lo so che sei arrabbiata con me e sono qui per chiederti scusa. Sono stato un’egoista stamane ma ti prego di credermi se ti dico che sono pentito del mio comportamento.

Sospirai, cominciando a sentire il peso delle parole che mi morivano in gola, impazienti di uscire fuori. Abbassai il mio sguardo, provando a fare ordine nella mia testa e mantenere un minimo di sangue freddo prima di mandare forse a puttane la mia amicizia con lei.

Quello che ho intenzione di dirti probabilmente non lo accetterai, probabilmente scapperai via da me e penserai che sia la cosa più giusta da fare. Ti preannuncio che non sarà così, seppure penserai di agire in buona fede, io non farò che pensarci fino alla nausea ma non posso più tacere.. Lils, ho bisogno che tu mi ascolti ed io proverò a farmi una ragione, qualsiasi sarà la tua reazione. Questo te lo prometto.

Alzai nuovamente gli occhi, incontrai di nuovo i suoi e provai a trovare il coraggio dentro il suo sguardo. Avevo bisogno di un cenno da parte sua, qualsiasi fosse ed io non mi sarei fermato. Le avrei dato tutte le spiegazioni di cui aveva bisogno. Guardandola volevo che capisse che quello che aveva di fronte a lei, che stava abbassando le dita dal suo mento per non agitarla, che aveva il cuore a mille e i pensieri pieni del suo nome, quel ragazzo con le vesti da babbano era lontano anni luce dal Principe che l’aveva deliberatamente ignorata alla lezione di pozioni. Quello era il suo Severus.
 
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